La filosofia buddhista dice che ci sono tre veleni per la psiche umana: il primo è vedere tutto nero, ovvero, mi arrabbio, mi lamento, mi sento in colpa, mi addoloro perché vedo solo la parte negativa; il secondo è il vedere tutto bianco: siamo dei bambini, degli ingenui, se crediamo che ci sia solo il principe azzurro, quando in realtà c’è un po’ di Caino e di Abele in ognuno di noi, c’è una parte di luce e di ombra in ognuno di noi e in ogni accadimento della vita. Se vedo tutto nero o tutto bianco mi sto mentendo e mi sto illudendo. Per il buddhismo il terzo veleno è: non essere consapevoli di questa semplice realtà.
Le cose non sono belle o brutte, ma sono un contenuto neutro, dipende dalla mia interpretazione delle cose se soffro o se godo. Lo stesso dolore fisico ha questa valenza: provate a pensare ai masochisti a cui piace farsi legare dai padroni o dalle padrone, ed essere calpestati con i tacchi a spillo sulle guance, loro sono contenti come pasque. Quello è un dolore vissuto con piacere; questa è la conferma che il dolore non è sofferenza, la sofferenza nasce dalla mia interpretazione di quella determinata cosa.
Possono essere molteplici le cause dei dolori e delle prove che ci troviamo ad incontrare nella vita; dalla legge dell’accidente, caso, buona o cattiva sorte, alla legge di causa-effetto. Una logica causa di dolore è la legge di causa/effetto cioè le conseguenze delle nostre scelte e delle nostre azioni e delle nostre non scelte.
E’ chiaro che se mangio 20 cotechini al giorno, non posso lamentarmi che mi venga la gastrite e la steatosi epatica.
Anche quello che io faccio, le mie relazioni, la qualità delle mie relazioni può influenzare molto il mio dolore emotivo; perché è chiaro che se io trascuro la mia compagna, non parlo con i miei figli, non mi accorgo delle persone che mi stanno intorno, finirò per essere tradito, abbandonato, dimenticato; in pratica, raccolgo quello che io semino. E’ un vecchio concetto. Quanto poi soffrirò, dipenderà dagli occhiali, dai filtri, dalla mia elaborazione. Noi siamo soggetti fondamentalmente a tre tipi di influenze che determinano la nostra vita; la principale è quella di causa-effetto, nel senso che, se mi dimentico di chiudere il gas, la casa scoppia, oppure, salgo in auto e non mi allaccio le cinture di sicurezza, per cui è possibile che io sbatta la testa in un incidente.
E quello che la cultura popolare dice: “chi semina vento raccoglie tempesta” dimenticandosi di ricordarci, però, la cultura contadina pecca in questo senso, che esiste il lato luce che dice: “chi semina il grano raccoglie il grano”.
Ci può essere anche un’altra influenza, chiamata “legge dell’accidente”. Il fato, fortuna e sfortuna dove anche ciò che è accidentale, però, può essere dovuto a leggi di causa-effetto; (posso averlo attirato con i miei pensieri e le mie emozioni).
E’ inevitabile sapere che siamo soggetti alla legge dell’accidente; posso camminare per strada e un piccione, come quello di Povia, mi fa un regalo. E’ un avvenimento del quale posso ridere o posso arrabbiarmi come una biscia perché mi ha rovinato un completino di Dior da 10000 Euro e che devo buttare via.
Esiste una terza influenza, dicono molti maestri e molte scuole, che in alcune tradizioni viene chiamata divina provvidenza, grazia, influenza celeste, angelica, cherubinica, come la definiva il filosofo Sufi Avicenna, si dice: un aiuto dal cielo, in questo caso possiamo anche ricevere, a volte, delle ispirazioni, delle prove, delle sfide che ci vengono date da qualcosa che è superiore rispetto alla volontà e all’accidente, per chi conosce e crede.
Approfondiamo adesso questo punto: quando il dolore si trasforma in sofferenza, quando cioè io carico un evento che può essere più o meno piacevole o spiacevole, attraverso i miei punti di vista, i miei significati, la mia attribuzione di senso, rendendolo così ancora più tragico, drammatico o trascinandomelo nel tempo. C’è un antico detto di un filosofo greco chiamato Epitteto, che diceva che “Non sono le cose della vita che causano le nostre emozioni”, memorizzatelo perché diventa una chiave di riflessione fondamentale: “Non sono le cose della vita che causano le nostre emozioni, sono le nostre interpretazioni delle cose della vita che causano le nostre emozioni”. Quindi, la sofferenza non è data da questo evento oggettivo, è data dal mio modo di interpretare questo fatto, ed è data, fondamentalmente, dalla nostra immaginazione e dalla nostra interpretazione della realtà.