I bambini sono messi al mondo negli ospedali con poca sensibilità.
Viene tagliato loro il cordone ombelicale prima che i piccoli polmoni abbiano avuto il tempo di liberarsi dal fluido che li riempiva quando erano nell’utero, perciò ilprimo respiro del neonato è dettato dal panico e provoca un dolore lancinante perché i suoi tessuti delicati subiscono il violento ingresso dell’aria per la prima volta.
La maggior parte delle persone porta le conseguenze di questo trauma alla nascita e, inconsciamente, non cerca mai di respirare a fondo per paura di sperimentare nuovamente quel dolore.
Inoltre, sempre da bambini, si è imparato che il fatto di essere pienamente vivi non è accettabile per gli adulti; il fatto di avere troppa energia crea problemi.
Si è quindi imparato a limitare la vitalità limitando la respirazione, in quanto più profonda è la respirazione più le sensazioni e le percezioni sono amplificate.
Della serie: “Più respiro e più sento e più energia circola nel corpo, meno respiro e meno sento.”
Fin dalla più tenera età impariamo che quando qualcosa è troppo spaventoso o troppo doloroso, si può attutire la sensibilità di quel momento trattenendo il respiro, ottenendo un effetto quasi anestetico.
Dunque, quando si deve bloccare una risposta spontanea nei confronti dell’ambiente esterno, spesso mettiamo in atto due strategie di repressione e controllo:
Se si incoraggiano i pazienti a respirare spontaneamente e profondamente si fa un lavoro inverso a quello fatto nel corso dell’infanzia, quando si è stati costretti a contrarre il respiro per inibire la voce, i suoni e i movimenti spontanei.
La tecnica del respiro consapevole aiuta così ad elaborare situazioni emozionali bloccate spesso fin dalla nascita.